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Messaggio  Albatros Gio Dic 13, 2012 12:54 pm

di Benedetta Guerriero

“Chi parte svantaggiato e non ha i mezzi, sarà sempre più in difficoltà”

La proposta di abbassamento del livello scolastico dai quindici ai sedici anni non convince. Più che come riforma viene vissuta come un ulteriore tentativo di destrutturazione della scuola. Nonostante il problema dell’abbandono scolastico da parte degli alunni non sia trascurabile e vada affrontato con serietà, la proposta approvata dalla Camera, che riguarderà soprattutto gli istituti professionali, non piace a presidi e insegnanti.

PeaceReporter ha intervistato Pietro Sciscio, vice preside e professore di ragioneria dell’istituto superiore Eugenio Montale di Cinisello Balsamo che propone due indirizzi: tecnico-commerciale e professionale.

E’ favorevole all’abbassamento del livello scolastico?

Viviamo in una società dove la conoscenza è fondamentale. Chi si trova a dover affrontare il mondo del lavoro, deve acquisire delle competenze sempre maggiori. Non capisco proprio da dove nasca la volontà di ridurre il periodo di formazione. Come insegnante sono convinto che per avere un buon lavoro sia necessario studiare molto. Se non si conoscono le lingue o non si hanno le basi dell’italiano e della matematica si è persi. Non si va da nessuna parte.


Parla di allungare il periodo formativo, eppure molti ragazzi abbandonano la scuola prima del termine. Come arginare questo problema?

Per limitare l’abbandono scolastico, che è un problema molto serio, bisogna intervenire sull’offerta formativa e migliorarla, per consentire ai ragazzi di non perdersi. Penso che sia fondamentale intervenire nella scuola, perché se andiamo avanti su questa strada sarà sempre peggio, ma bisogna pensare a una didattica aggiornata e ad aumentare gli stimoli. Anche per i professori. Non è un mistero che rispetto ai colleghi europei, i docenti italiani guadagnino molto bene. Questa nuova proposta non è un tentativo di miglioramento, ma una critica indiretta al sistema scolastico. Come dire:”visto che la scuola non funziona e non prepara, mandiamoli a lavorare”.

Non esiste già, specie negli istituti professionali, la possibilità di integrare studio e lavoro?

Certo. Io, infatti, non critico il lavoro, penso, tuttavia, che debba essere un periodo limitato della formazione per permettere ai ragazzi di entrare in contatto con le dinamiche della vita reale. Anche per quanti vogliono svolgere un lavoro manuale, come può essere il magazziniere, è necessario avere un bagaglio culturale. Agli alunni del professionale garantiamo tre settimane di stage all’anno, mentre a quelli del tecnico quattro. Il nuovo provvedimento cancella il momento formativo ed è grave, visto che partiamo da un livello molto più basso rispetto al passato. Arrivano dalle medie ragazzini sempre più ignoranti, privi dei fondamenti. Come possiamo buttarli sul mercato del lavoro in queste condizioni? Chi parte svantaggiato e non ha i mezzi e una famiglia alle spalle, sarà sempre più in difficoltà.

Si va quindi verso una scuola per ricchi e una per i poveri?

Se non si interviene, sì. Spero che a qualcuno venga in mente di ascoltare anche noi insegnanti ogni tanto, visto che coi ragazzi viviamo quotidianamente e conosciamo i loro bisogni. I professori e la didattica devono confrontarsi coi tempi e con la nascita di nuovi strumenti, quali internet, la televisione. I giovani non imparano più solo a scuola, hanno mille altri stimoli e questo deve essere preso in considerazione. Manzoni e Leopardi saranno sempre validi, ma dovranno essere insegnati con modalità diverse. Può non piacere, ma è l’unico sistema per non perdere i ragazzi.

Fonte: http://www.stampalibera.com/?p=8976
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